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7/21/2014

RECENSIONE "PARANOID PARK" (2007, Regia di Gus Van Sant) PREMIO DELLA GIURIA 60° ANNIVERSARIO FESTIVAL DI CANNES

Dopo la cosiddetta trilogia della morte (Gerry, Elephant, Last Day) dove la macchina da presa osservava freddamente e staticamente i terribili avvenimenti che erano al centro di queste tre pellicole, Van Sant scrive e dirige un film che non si limita a mostrare qualcosa al pubblico, ma cerca invece di scavare soggettivamente nel profondo del protagonista. La giovinezza e i suoi problemi, tema tanto caro al regista americano, torna ad essere la protagonista. Ma  "Paranoid Park", datato 2007, non è un semplice film sui problemi dell'adolescenza, il protagonista ha bensi' la dura aggravante di dover accettare e metabolizzare un omicidio che involontariamente ha commesso. 

                                                            TRAMA
Alex è un sedicenne originario di Portland, nell'Oregon (città natale di Van Sant), appassionato di skateboard. I suoi genitori sono in procinto di separarsi, ma lui comunque non vive in una condizione economica depravata e dimostra anche di avere una certa intelligenza e comprensione nei confronti della madre e del padre. Un giorno, insieme ad suo amico, inizia ad andare al Paranoid Park, zona frequentatissima da tutti gli skater della città. Purtroppo gli amici che ha conosciuto, per divertirsi un po, lo spingono a salire sui treni della vicina stazione. Una guardia accorre per farli scendere ed Alex involontariamente la spinge verso il vicino binario, causandone la morte. Il ragazzo decide di non rivelarlo a nessuno, ma si porterà dentro un macigno troppo forte da poter sopportare. 


"Riusciresti a tenere segreto un delitto?" ci chiede la locandina del film, perchè Paranoid Park parla proprio del dover metabolizzare un forte dolore. Alex resta inizialmente scioccato, inizia a lottare con la propria coscienza auto giustificando il gesto che ha compiuto, torna a casa, ha bisogno di dirlo a qualcuno per sentirsi meglio ma non ci riesce, per poi iniziare ad avere il terrore che chiunque lo circonda possa sospettare qualcosa. Tutta la parabola di accettazione che ognuno di noi ha vissuto o potrebbe vivere almeno una volta nella propria vita. Non per la causa descritta dal film, ma sicuramente dinanzi ai dolori che prima o poi la vita inevitabilmente ci pone. Ed ecco che questo elemento si fonde con la storia di formazione. Il ragazzo ha bisogno di una guida che non riesce a trovare e si troverà a dover affrontare i tipici episodi adolescenziali quali il rapporto con gli amici, il primo amore, la prima esperienza sessuale e via dicendo. Mentre in Gerry, Elephant e Last Days, la macchina da presa tendeva ad essere distaccata dai fatti, qui invece la presenza di sfocate sequenze girate in super 8 serve ad esplorare il mondo interiore di Alex, il quale ci viene mostrato anche nei momenti più intimi, come nella scena della doccia. Infatti, a differenza della sequenza di Elephant in cui i due ragazzi attentatori si lavavano prima di compiere la tragedia, immortalata con camera fissa dall'esterno, qui invece Van Sant punta il primo piano sul bravissimo Gabe Nevins per mostrarci il senso di shock che pervade la sua mente. La narrazione è frammentata, nel senso che ci vengono mostrati gli eventi si in senso cronologico, ma non interamente, arrivando a vedere il fatto incriminato a metà pellicola, per poi rivivere integralmente il post incidente nella seconda parte. L'inquietudine di Alex viene alterata dalla scelta incoerente delle musiche, le quali vengono associate ad immagini con le quali hanno ben poco a che a fare. Insomma, un radicale cambiamento di rotta dai lavori precedenti del regista, il cui stile a mio parere funziona pienamente soltanto in Elephant (uno dei suoi capolavori). La questione è che se mi mostri a camera fissa minuti e minuti in cui sostanzialmente avviene ben poco, il ritmo ne risente dannatamente rendendo i film poco piacevoli da guardare. In questo caso parlo di Gerry e Last Days. Opere intelligenti, sperimentali, sicuramente affascinanti, ma altrettanto fastidiose. Elephant aveva un dinamismo, registico e narrativo, che gli altri due film della trilogia della morte non hanno. E sinceramente ad un Gerry e ad un Last Days io preferisco di gran lunga i più classici Will Hunting e Scoprendo Forrester (diretti dallo stesso Van Sant).

VOTO (DA 0 A 4)










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