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8/07/2014

NELLA CASA (2012, Regia di François Ozon

Una delle più grandi capacità del cinema e della letteratura è riuscire a rendere straordinario l'ordinario. Una buona penna o uno che sa usare bene la macchina da presa può rendere interessante qualcosa come la semplice routine quotidiana di una famiglia. D'altronde, ci insegna Shakespeare, che non è importante ciò che racconti, ma come lo racconti. Il regista francese François Ozon, nel suo "Nella Casa", fa penetrare il protagonista all'interno di una casa borghese. Claude Garcia è un ragazzo che vive in un quartiere degradato di una cittadina francese, abbandonato dalla madre e costretto a badare da solo al padre disabile. Egli ha un grande talento nello scrivere e, riuscendo a penetrare nella casa del miglior amico Rapha Artole, inizia a raccogliere i suoi pensieri nel tema scolastico assegnato dal nuovo professore di lettere Germain (un impeccabile Fabrice Luchini) sul quale compare la scritta "continua". Il prof, sposato con un donna appassionata di arte moderna e intenta a salvare una galleria d'arte dalla chiusura,  rimane molto colpito dalle capacità letterarie del giovane ragazzo, ritrovando la passione nell'insegnamento che da tempo aveva perso. Il prof lo incoraggia dunque a continuare a scrivere le nuove puntate del suo tema. Ma quando le incursione di Claude all'interno della casa diventano sempre più assidue, con la scusa di aiutare il compagno a studiare, la situazione sfuggirà di mano ad entrambi, e si scoprirà che Claude ha altri interessi per cui andare in quella casa. Ozon sforna un film capace di affascinare e colpire, probabilmente uno dei migliori del 2012, per parlare del forte legame, quasi maniacale, che viene a crearsi tra lo scrittore e il lettore e a fin dove esso può spingersi. Ma "Nella casa" è anche una dottrina sul processo di scrittura, di concepimento e parto di un opera, sul come valorizzare i personaggi. Il fatto è che qui Claude vede ciò che racconta, e cosiddetti personaggi minori da valorizzare saranno coloro di cui preoccuparsi. La narrazione si basa sui temi che il ragazzo scrive, illustrati dalla sua voce mentre la telecamera li immortala. Tra dialoghi alla Woody Allen (omaggiato, in un certo senso, nella scena in cui il prof e la moglie vanno al cinema a vedere "Match Point"). Un film magnifico, ipnotico, appassionate, colto. Un gioiello brillante da vedere e rivedere.

VOTO (DA 0 A 4)
4









7/21/2014

RECENSIONE "SCOPRENDO FORRESTER" (2000, Regia di Gus Van Sant)

Dopo il grande successo al botteghino di "Will Hunting-Genio Ribelle" (vincitore anche di 2 oscar), Sean Connery, attore e produttore della pellicola, chiama a rapporto Gus Van Sant per sviluppare un film sulla stessa onda. Scoprendo Forrester è un karate kid letterario, al cui centro c'è sempre il solito ragazzo problematico tanto amato dal regista di Elephant, il cui problema in questo caso è di tipo economico e sociale. Jamal Wallace è un ragazzo afroamericano di sedici anni e vive a New York, nel difficile quartiere del Bronx, con la madre e il fratello.  Ha un grande talento nella scrittura e nel basket. Grazie ad una borsa di studio ricevuta, ha la possibilità di frequentare una prestigiosa scuola che altrimenti non avrebbe potuto permettersi. L'incontro con uno strano e misterioso signore (Sean Connery), che poi si scoprirà essere un ex scrittore rintasatosi in casa dopo aver scritto un solo libro capolavoro, divenuto un vero e proprio cult, aiuterà Jamal ha sviluppare il suo talento e a cambiargli la vita. In molti film anni 80, l'elemento di unione e di uscita dalla povertà era rappresentato dallo sport, la peculiarità di Scoprendo Forrester è quella di puntare sulla cultura. Ok, sarà il film più classico e didascalico di Van Sant, questo non lo metto in dubbio, ma è semplicemente perfetto. Un ottima narrazione, delle ottime perfomance, una buona regia e il rapporto che viene a crearsi tra questo vecchio, inizialmente burbero, e il giovane aspirante scrittore, basta ad indurmi a conferire al film il voto massimo di 4 stelle. Bisogna contestualizzare e Scoprendo Forrester fa il suo dovere alla grande.

VOTO (DA 1 A 4)
4 su 4

RECENSIONE "DRAGON TRAINER 2" (2014, Regia di Dean DeBlois)

Dopo il meraviglioso primo capitolo datato 2010, esce anche in Italia il seguito di quella che è diventata la nuova gallina dalle uova d'oro della Dreamworks Animation (arrivata a festeggiare i suoi 20 anni di attività). Ritornano dunque Hiccup, il suo drago-amico Sdentato, Astrid, tutti personaggi che tanto avevamo amato, in Dragon Trainers 2. Presentato fuori concorso a Cannes 2014, la storia si sposta 5 anni dopo gli avvenimenti del primo film. Draghi e vichinghi sono ormai grandi amici ed Hiccup sta per diventare capo villaggio. Ma un nuovo villain, cacciatore di draghi, disturberà la quiete del villaggio. Alla cabina di regia torna  Dean DeBlois, questa volta da solo, a far fronte alla seconda puntata di una già annunciata trilogia (nel 2016 il terzo film). La cosa che più mi era piaciuta del primo capitolo era stata l'impostazione data, quasi da film di formazione, con al centro il personaggio di Hiccup e i suoi problemi da adolescente. Il voler acquisire la stima degli altri, il rapporto conflittuale con il padre ecc. L'ottima animazione e la forte empatia con i personaggi rendeva Dragon Trainer uno dei più bei cartoni di sempre. Considerando che DeBlois aveva già chiesto prima di iniziare a lavorare a questo film che venisse confermato un altro seguito, faceva pensare che egli avesse già tutta l'opera  bene in mente e che quindi l'evoluzione dei personaggi sarebbe stata molto marcata, rendendo i sequel più che semplici commercialate, come siamo stati abituati da altri franchise. Ed è qui che Dragon Trainer 2 delude. Perchè ormai l'asticella dei film d'animazione si è alzata molto e dopo i sublimi Toy Story 3, Wall-e e soprattuto Up, il principale obiettivo dei registi dovrebbe essere quello di continuare ad affascinare anche un pubblico più adulto. Perchè, diciamoci la verità, è facile impressionare un bambino. Ma, almeno io,  pretende di più da quello che una volta erano semplici disegni in movimento. Dalla premessa sembrerebbe che Dragon Trainer non mi è piaciuto, ma non è cosi'. Perchè per quanto riguarda il livello tecnico, l'azione, la comicità, le espressioni dei personaggi, c'è veramente poco da eccepire. E devo dire che è uno dei più bei 3D che ho visto, un'ottima profondità, un vero valore aggiunto. I tanti bambini presenti in sala urlavano di gioia. Basterebbe questo per giudicare positivamente questo film ma, per quanto mi riguarda, è stato proprio il resto a deludere. Si evince una mancata volontà di approfondire alcune situazioni che vengono a crearsi, le quali inevitabilmente vengono risolte a tarallucci a vino. Hiccup ritrova la madre, che tutti pensavano fosse stata uccisa da un drago. Questa spiega il motivo per cui se ne era andata (molto forzato) e Hiccup, dopo 20 anni senza una figura materna,  non ha alcuna reazione, anzi reagisce anche positivamente. Stessa cosa il padre, che si mette a ballare con la sua dama ritrovata. Aggiungeteci un villain abbastanza stupido ed ecco che il più maturo cartoon Dreamworks si trasforma nell'ennesima commerciatala sbanca- box office, infarcito di banalità e di momenti buonistici. Un cartoon spettacolare e gradevole,da vedere se avete amato il primo film, ma anche un peccato. 

VOTO (DA 0 A 4)
2,5



RECENSIONE "PARANOID PARK" (2007, Regia di Gus Van Sant) PREMIO DELLA GIURIA 60° ANNIVERSARIO FESTIVAL DI CANNES

Dopo la cosiddetta trilogia della morte (Gerry, Elephant, Last Day) dove la macchina da presa osservava freddamente e staticamente i terribili avvenimenti che erano al centro di queste tre pellicole, Van Sant scrive e dirige un film che non si limita a mostrare qualcosa al pubblico, ma cerca invece di scavare soggettivamente nel profondo del protagonista. La giovinezza e i suoi problemi, tema tanto caro al regista americano, torna ad essere la protagonista. Ma  "Paranoid Park", datato 2007, non è un semplice film sui problemi dell'adolescenza, il protagonista ha bensi' la dura aggravante di dover accettare e metabolizzare un omicidio che involontariamente ha commesso. 

                                                            TRAMA
Alex è un sedicenne originario di Portland, nell'Oregon (città natale di Van Sant), appassionato di skateboard. I suoi genitori sono in procinto di separarsi, ma lui comunque non vive in una condizione economica depravata e dimostra anche di avere una certa intelligenza e comprensione nei confronti della madre e del padre. Un giorno, insieme ad suo amico, inizia ad andare al Paranoid Park, zona frequentatissima da tutti gli skater della città. Purtroppo gli amici che ha conosciuto, per divertirsi un po, lo spingono a salire sui treni della vicina stazione. Una guardia accorre per farli scendere ed Alex involontariamente la spinge verso il vicino binario, causandone la morte. Il ragazzo decide di non rivelarlo a nessuno, ma si porterà dentro un macigno troppo forte da poter sopportare. 


"Riusciresti a tenere segreto un delitto?" ci chiede la locandina del film, perchè Paranoid Park parla proprio del dover metabolizzare un forte dolore. Alex resta inizialmente scioccato, inizia a lottare con la propria coscienza auto giustificando il gesto che ha compiuto, torna a casa, ha bisogno di dirlo a qualcuno per sentirsi meglio ma non ci riesce, per poi iniziare ad avere il terrore che chiunque lo circonda possa sospettare qualcosa. Tutta la parabola di accettazione che ognuno di noi ha vissuto o potrebbe vivere almeno una volta nella propria vita. Non per la causa descritta dal film, ma sicuramente dinanzi ai dolori che prima o poi la vita inevitabilmente ci pone. Ed ecco che questo elemento si fonde con la storia di formazione. Il ragazzo ha bisogno di una guida che non riesce a trovare e si troverà a dover affrontare i tipici episodi adolescenziali quali il rapporto con gli amici, il primo amore, la prima esperienza sessuale e via dicendo. Mentre in Gerry, Elephant e Last Days, la macchina da presa tendeva ad essere distaccata dai fatti, qui invece la presenza di sfocate sequenze girate in super 8 serve ad esplorare il mondo interiore di Alex, il quale ci viene mostrato anche nei momenti più intimi, come nella scena della doccia. Infatti, a differenza della sequenza di Elephant in cui i due ragazzi attentatori si lavavano prima di compiere la tragedia, immortalata con camera fissa dall'esterno, qui invece Van Sant punta il primo piano sul bravissimo Gabe Nevins per mostrarci il senso di shock che pervade la sua mente. La narrazione è frammentata, nel senso che ci vengono mostrati gli eventi si in senso cronologico, ma non interamente, arrivando a vedere il fatto incriminato a metà pellicola, per poi rivivere integralmente il post incidente nella seconda parte. L'inquietudine di Alex viene alterata dalla scelta incoerente delle musiche, le quali vengono associate ad immagini con le quali hanno ben poco a che a fare. Insomma, un radicale cambiamento di rotta dai lavori precedenti del regista, il cui stile a mio parere funziona pienamente soltanto in Elephant (uno dei suoi capolavori). La questione è che se mi mostri a camera fissa minuti e minuti in cui sostanzialmente avviene ben poco, il ritmo ne risente dannatamente rendendo i film poco piacevoli da guardare. In questo caso parlo di Gerry e Last Days. Opere intelligenti, sperimentali, sicuramente affascinanti, ma altrettanto fastidiose. Elephant aveva un dinamismo, registico e narrativo, che gli altri due film della trilogia della morte non hanno. E sinceramente ad un Gerry e ad un Last Days io preferisco di gran lunga i più classici Will Hunting e Scoprendo Forrester (diretti dallo stesso Van Sant).

VOTO (DA 0 A 4)










7/14/2014

OPINIONI SU DRAGON TRAINER (2010, Regia di Chris Sanders e Dean DeBlois)

L'animazione è un genere straordinario, che permette di poter affrontare un tema in maniera diversa e renderlo visibile anche per un pubblico più piccolo. Tutte le major hollywoodiane si stanno attrezzando per poter produrre almeno 2 film di animazione di livello all'anno, ma il binomio Pixar - Dreamworks Animation rimane. Entrambe hanno realizzato ottimi prodotti, ma la profondità e la maturità che ha mostrato la prima è davvero difficile da eguagliare. La sequenza di Up in cui ci viene mostrata la vita dei due sposi è una delle scene più belle della storia del cinema. Ad ogni modo, nel 2010 la Dreamworks se ne usci' con un film che sorprese non poco. Parlo ovviamente di "Dragon Trainer", ambientato in un villaggio vichingo la cui principale attività è uccidere draghi. E c'è questo ragazzo di 14 anni, Hiccup, il cui padre, essendo il capo-villaggio, vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme. Ma Hiccup ben presto si renderà conto che in draghi non sono cosi' cattivi come si potrebbe credere, la loro violenza è causata dal bisogno di doversi difendere dagli attacchi degli umani. I registi Chris Sanders e Dean DeBlois ci raccontano una storia di formazione. I tentativi di Hiccup, fisicamente esile e quindi messo da parte, di acquisire la stima degli altri, i rapporti conflittuali con il padre, ottuso nell'imporre al figlio una strada da seguire. Tutte cose tipiche del periodo adolescenziale. Ma si parla anche dell'atteggiamento umano nei confronti del diverso. Un'ottima lezione per bambini e adulti. La cosa di Dragon Trainer che più si apprezza, come dovrebbe essere per tutti i grandi film di animazione, è l'ottimo assortimento. Si trova praticamente tutto. Il messaggio, una profondità nei personaggi e nella storia, ma soprattutto azione e sequenze visivamente emozionanti. Nei successivi due film della trilogia, uno in uscita e un altro già annunciato, Dean DeBlois (rimasto solo alla regia) promette un ulteriore evoluzione dei personaggi, citando addirittura il secondo Star Wars.

VALUTAZIONE (DA 0 a 4)

4

7/09/2014

RECENSIONE "LE ORIGINI DEL MALE" (2014, Regia di John Pogue)

Anteporre "Tratto da una storia vera" è sempre stato un modo da parte dei realizzatori di film horror, e non solo (vedasi i Coen in Fargo), di accentuare la suggestione degli spettatori dinanzi a ciò che vedranno. Ne "Le Origini del Male", vi assicuro che il 90% di quello che si vede è falso, pura invenzione dello sceneggiatore, che però si è ispirato ad un vero esperimento che ebbe luogo nel periodo in cui si svolge il film. Gli anni settanta. Le telecamere enormi,i block notes, il consultarsi in biblioteca piuttosto che su internet, l'abbigliamento, tutto molto tipico di quell'epoca, conferiscono alla pellicola di John Pogue un fascino non indifferente. Un professore universitario di fisica (Jared Harris) con metodi poco ortodossi e molto controversi raggruppa i suoi migliori studenti e un filmmaker con l'obiettivo di condurre un esperimento mai tentato prima. Egli vuole dimostrare che il paranormale non esiste, e che quelli che vengono spacciati per fantasmi e strane presenze non sono altro che un prodotto negativo della mente, influenzato da eventi del passato. Adotta quindi una ragazza mentalmente instabile per sperimentare e dimostrare questa sua teoria. Il 2014, finora, è stato un anno drammatico per il genere horror. Ma a differenza del recente "Appartamento 1303" (uno dei film più brutti che io abbia mai visto), ne "Le origini del male" si evince perlomeno un certo impegno. Nella pellicola, il regista vuole mostrarci come la scienza e la fede possano condividere lo stesso fanatismo. Sia i fedeli accaniti che gli scienziati super razionali possono essere capaci di tutto pur di non rassegnarsi alla verità. Ma mi rendo anche conto di quanto sia difficile tollerare il fatto che il professore continui ad ostinarsi che non ci sia nulla di paranormale, dopo che dalla bocca della ragazza è uscita una strana creatura somigliante al ramo di una pianta (cosa che succede dopo 30 minuti). Ed inoltre, come in Sinister, a quanto pare i protagonisti si sono dimenticati di pagare la bolletta della luce. Ciò crea indubbiamente atmosfera, è legittimata nei momenti in cui si cerca di evocare la presenza che la ragazza vede, ma credere che questi continuino a vagare nell'oscurità per l'intera durata film, sebbene stia succedendo tutto quello che sta succedendo, francamente è ridicolo. Ma lasciamo stare, si fa per dire. I saltelli dalla poltrona ci sono. Grazie al sonoro e ai soliti cliché, primo fra tutti il found footage (vedere le scene attraverso una telecamera che riprende), che però qui è unito a vere e proprie riprese. Il tentativo di esplorare il fatto di cui vi ho parlato sopra, la buona costruzione della tensione, la fotografia oscura-retrò, il sonoro e una regia discreta, rendono "Le Origini del male" un horror dignitoso. Non imperdibile, ma un discreto passatempo si. 

VALUTAZIONE (DA 0 A 4)
2,5 

RECENSIONE "ELEPHANT" (2003, Regia di Gus Van Sant) PALMA D'ORO AL MIGLIOR FILM CANNES 2003

Quella che sembra una normale giornata di scuola, si trasformerà presto in un inferno. Due ragazzi, che nella pellicola ci vengono mostrati come isolati e bullizzati, acquistano online delle armi e mettono in atto quello che sarebbe diventato uno dei più grandi massacri della storia americana, per poi suicidarsi. Il massacro avvenuto 15 anni alla Columbine High School è qualcosa di talmente terribile e sconcertante che scriverci diventa molto complicato, addirittura doloroso, pensate farci un film. Ma Gus Van Sant (Will Hunting - Genio ribelle, Milk) in "Elephant" riesce a raccontare questa vicenda con il giusto tatto, non esaltando in nessun modo la violenza, ma semplicemente seguendo la tipica routine dei personaggi. La macchina da presa si muove agilmente e freddamente tra gli enormi corridoi della scuola attraverso lunghi piani sequenza, il film è realizzato quasi completamente con questa tecnica che conferisce una realisticità pazzesca, in un crescendo di ansia. Il regista statunitense candidato all'oscar utilizzata la stessa tecnica utilizzata da Kubrick in "Rapina a mano armata",mostrandoci più volte la stessa vicenda da punti di vista diversi, da soggetti diversi. Egli non ci propone il fatto esattamente come avvenuto nella realtà, almeno per quanto riguarda i fatti,che però non vengono mutati molto, solo quanto basta per permettergli di mettere in risalto in punti a lui cari. Che nel paese più potente e all'avanguardia del mondo le armi si possono tranquillamente comperare anche al supermercato, è ormai vergognosamente noto a tutti. In tutte le recensioni che ho letto riguardo questo film, tutti dicono che Van Sant non abbia voluto giudicare. Io non sono d'accordo. Dopo aver visto il film, come ogni volta che vedo o leggo qualcosa realmente accaduto, sono andato ad approfondire su Internet ed ho letto la seguente frase: 

"In seguito alla sparatoria, ci furono anche diverse discussioni riguardo cosa potesse aver spinto gli assassini al loro gesto e se fosse stato possibile prevenire il crimine. Molti sostengono che l'isolamento dei due ragazzi dal resto dei loro compagni di classe creò in loro sentimenti, come il sentirsi indifesi e insicuri, che li spinsero verso una profonda depressione alimentata da una notevole ricerca di popolarità. Più tardi, queste categorizzazioni si rilevarono false poiché sia Harris che Klebold avevano una cerchia di amici e non erano isolati"

Van Sant ci mostra il contrario. Nel film, infatti, i due sono isolati e bullizzati e considerando che gli avvenimenti non sono stati riprodotti alla lettera, sono arrivato a pensare che il regista non  regista sia stato un semplice osservatore. E d'altronde la scelta di chiamare il film Elephant è emblematica.

E' troppo facile attribuire il gesto di questi due ragazzi alla follia, come non sarebbe giusto dire che l'olocausto  sia stato causato soltanto dalla pazzia dei nazisti, quando in realtà c'erano anche altri motivi di natura economica-sociale. In una scena del film i due ragazzi trovano un documentario dedicato proprio ad Hitler, per il quale provano una certa simpatia. Questo momento potrebbe essere un velato riferimento proprio a questo. Si rimane sconvolti invece nel constatare la lucidità con cui avevano pianificato il piano ed inoltre, il ragazzo che compare all'inizio del film, John, anch'egli ha problemi in famiglia causati dal fatto che il padre si ubriaca, ma a differenza dei compagni non gli viene in mente di ammazzare qualcuno. I problemi dei suoi coetanei sarebbero dovuti essere risolti prima. Qualcosa viene spiazzata nel finale, ma la verità è che nessuno saprà mai cosa sia passato nella testa di quei ragazzi, la mente è un abisso, non possiamo controllare la mente di altre persone, ma possiamo controllare la nostra. Ed invece si preferisce rimpicciolire quell'elefante a cui si riferisce il titolo, un problema grande e visibile quanto quell'animale,ma che però si preferisce mettere da parte. Chissà se parlare con loro, affrontare insieme il problema, avrebbe potuto cambiare qualcosa. Elephant non è un film comune, si prende il suo tempo per mostrarci l'ordinarietà di una giornata qualunque che poi purtroppo non si è mostrata tale. Un'opera potente, ansiogena, struggente e realista, che lascia il segno, dice la propria ma con il giusto tatto. Da vedere assolutamente!

VALUTAZIONE (DA 0 A 4)



4 SU 4